domenica 29 novembre 2015


MINISTERO: SONO 805.800 GLI ALUNNI
 NON ITALIANI IL 9,2% DELLA POPOLAZIONE
STUDENTESCA, MAGGIORANZA DA ROMANIA
Dopo anni di continua crescita sembra essersi stabilizzato il numero degli studenti con cittadinanza non italiana. È quanto emerge dall'indagine statistica su 'Gli alunni stranieri nel sistema scolastico italiano' del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e ora disponibile on line. L'indagine si riferisce all'anno scolastico 2014/2015. L'incremento degli studenti con cittadinanza non italiana, rispetto all'anno precedente, è pari a circa 3.000 unità, per un numero complessivo di 805.800 alunni.
Anche la percentuale degli alunni con cittadinanza non italiana, sul totale degli studenti, rimane pressoché costante, è il 9,2%. Più esattamente, diminuiscono gli alunni stranieri nella scuola materna e nelle medie, mentre aumentano quelli frequentanti le elementari e le superiori. Continua ad essere in forte crescita, invece, la quota di alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia: si va consolidando il "sorpasso" delle seconde generazioni, seppure con una minor incidenza rispetto ad un anno fa. Questo incremento è pari al 7,3% contro l'11,8% del 2013/2014. In totale, gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia rappresentano il 51,7% del totale degli alunni stranieri. Dalla lettura dei dati, emerge che il sorpasso ancora non riguarda le superiori (18,7%). È in aumento anche la variazione degli alunni entrati per la prima volta nel sistema scolastico italiano.
Invariato rispetto allo scorso anno l'ordine dei Paesi di provenienza per numero di presenze di alunni stranieri. In testa alla classifica la Romania. Seguono Albania, Marocco, Cina, Filippine, Moldavia, India, Ucraina, Perù e Tunisia. Anche per l'anno scolastico 2014/2015, la regione italiana che ospita nelle proprie aule più alunni con cittadinanza non italiana è la Lombardia, con 201.633 studenti che però, se raffrontata con le altre regioni in termini percentuali, scende al secondo posto superata dall'Emilia-Romagna che registra un'incidenza maggiore di studenti con cittadinanza non italiana sul totale, pari al 15,5%. Il divario tra la scelta di una scuola statale e una non statale da parte degli alunni stranieri, rispetto a quelli italiani, va aumentando nel tempo. Nell'anno scolastico 2014/2015, in particolare, si osserva che l'8,9% degli studenti con cittadinanza non italiana frequenta una scuola non statale, contro il 12,3% degli alunni italiani. Per quanto riguarda le scelte dei percorsi scolastici nelle superiori, si osserva un deciso sorpasso dell'istruzione tecnica rispetto a quella professionale dovuto essenzialmente agli alunni stranieri nati in Italia. Nello specifico, dei nati in Italia il 36,3% sceglie l'istruzione tecnica e il 28,2% l'istruzione professionale; degli stranieri nati all'estero, invece, il 36,8% sceglie l'istruzione tecnica e il 39,3% quella professionale.
Guardando al percorso scolastico dei bambini stranieri, pur rimanendo più difficile e a volte più lungo di quello dei compagni italiani, si riscontra una diminuzione del valore percentuale del ritardo. Si può osservare che questo valore diminuisce sia per gli alunni con cittadinanza non italiana (34,4%) che italiana (10,9%).
Nel notiziario vengono presentati anche i dati relativi alle scelte universitarie degli studenti con cittadinanza non italiana che si sono immatricolati nell'anno accademico 2014/2015, nonché quelli sugli abbandoni e i crediti formativi degli studenti universitari stranieri immatricolati nell'anno accademico 2013/2014.
 Notiziario Minori, 29 novembre 2015

lunedì 16 novembre 2015


IN NOME DI COSA?
Venerdì sera ci sono stati diversi attentati a Parigi in cui sono rimaste uccise almeno 132 persone: altre 352 persone sono rimaste ferite di cui 99 gravi, ha detto la procura di Parigi. Alcuni attacchi sono stati compiuti nei pressi di bar e ristoranti del X e dell’XI arrondissement, due quartieri della capitale francese. L’attentato più grave è stato compiuto al Bataclan, un locale storico dove si stava tenendo un concerto di una band californiana: qui alcuni uomini hanno preso in ostaggio un centinaio di persone per circa due ore, uccidendone 89.Una rosa e un biglietto con scritto «In nome di cosa?», sul foro lasciato da un proiettile nella vetrina di un ristorante di Parigi. Tanta barbarie - ha sottolineato papa Francesco - ci lascia sgomenti e ci si chiede come possa il cuore dell'uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti intollerabili, - ha affermato il Pontefice - non si può non condannare l'inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell'odio non risolve i problemi dell'umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia.
Con questa riflessione di oggi, tutta la nostra scuola vuole essere vicina al popolo della Francia e a tutti i familiari delle vittime.
 

IL 25% DEGLI STUDENTI HA 'DIPENDENZA'
 DA INTERNET MANIFESTA PROBLEMI
SE NON SI COLLEGA
-"Cinquecento ragazzi di due istituti scolastici calabresi, divisi per sesso, sono stati testati in base alla frequenza di collegamento con i social network, la playstation e i siti web. Il campione ha visto la presenza del 63% di componenti di sesso femminile, con un'età media di 15,9 anni. Il 25% ha manifestato difficoltà se non si collegava giornalmente per un periodo superiore ai 120 minuti, mentre il 75% ha dichiarato di non avere problemi a disconnettersi". Lo rivela una ricerca pubblicata su Clinical Neuropsychiatry (www.clinicalneuropsychiatry.og, fioriti editore) relativa alla possibile dipendenza da internet di un campione di adolescenti, e tra gli autori Mario Campanella, presidente dell'associazione Peter Pan, e Donatella Marazziti, direttore scientifico della Brf.
"Il 4% della popolazione campionata ha dimostrato di avere serie difficoltà in caso di disconnessione, con una propensione di attaccamento che ricorda la sindrome di Hikikomori, la ormai celebre patologia di derivazione giapponese che vede circa 300.000 ragazzi italiani chiudersi totalmente al mondo reale.
La campionatura omogenea per territorio- aggiunge Marazziti- mostra un progressivo aumento del numero dei ragazzi che organizzano la loro vita intorno al mondo virtuale, con problematiche connesse che richiedono un'attenzione seria da parte delle istituzioni".
Notiziario Minori, 16 novembre 2015.

"DISTURBI PERSONALITÀ NON RIGUARDANO
L'INFANZIA". MIGONE: LA COMPONENTE
BIOLOGICA È SOLO UNA CONCAUSA
'I disturbi di personalità veri e propri non emergono con chiarezza nell'infanzia perché il bambino non ha ancora una personalità definita'. A dirlo è Paolo Migone, medico psichiatra e co-direttore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane (www.psicoterapiaescienzeumane.it), che intervistato dalla Dire aggiunge: 'Temperamento, carattere e personalità sono tre parole chiave. Il temperamento esiste dalla nascita, è biologico, il carattere è quell'aspetto della personalità che deriva dall'esperienza e la personalità è l'unione del temperamento e del carattere. Quindi il temperamento- chiarisce il medico- è solo una concausa che, insieme alle esperienze, incide moltissimo sull'emergere in età adulta dei disturbi di personalità'.
- COSA SONO I DISTURBI DI PERSONALITÀ? 'Sono le modalità di funzionamento dell'intera persona che si stabilizzano nell'adolescenza e durano per tutta la vita. Si differenziano dalle sindromi cliniche, che invece sono malattie che curate possono andare via. La depressione, ad esempio, non è un disturbo di personalità, perché ci si può ammalare ma poi guarire e tornare alla normalità- spiega Migone- mentre un disturbo di personalità è qualcosa di permanente nella persona, all'interno della quale si possono innescare o instaurare le sindromi cliniche, come la depressione, la schizofrenia, l'attacco di panico o altro'. Il Dsm-III e il Dsm-IV indicavano al clinico cinque 'assi' da considerare simultaneamente (il sistema multiassiale è stato poi eliminato nel Dsm-5). Importanti erano i primi due assi: 'Nel primo trovavamo le sindromi cliniche, ovvero quelle malattie che vanno e vengono (come la depressione, le fobie, gli attacchi di panico o un disturbo d'ansia). Nel secondo asse i disturbi di personalità- continua il co-direttore di Psicoterapia e Scienze Umane- che sono permanenti ma possono essere in parte modificati da una terapia. Possiamo definirli come espressione di 'tratti' o 'dimensioni' della personalità, aspetti della persona che possono essere valutati in un continuum che va dalla patologia alla salute, quindi appartengono a tutti, anche alle persone sane'. Si può parlare di disturbo di personalità 'quando alcuni tratti sono marcati, cioè all'estremo del continuum. Questo è un modo di concettualizzare i disturbi di personalità che possiamo definire 'dimensionale'- chiarisce Migone- cioè basato sullo studio dei tratti della personalità. Invece l'approccio alternativo, chiamato 'categoriale', prevede che vi siano disturbi distinti e separati gli uni dagli altri, non collocati lungo un continuum di dimensioni'.
Lo psichiatra ricorda poi che 'nel Dsm-5 si è tentato di introdurre un modello dimensionale per definire i disturbi di personalità, ma poco prima della sua pubblicazione è stato deciso di eliminarlo perché ritenuto troppo complesso per il clinico'. Il modello dimensionale è stato comunque conservato in una sezione a parte del manuale, ed è stato deciso che il Dsm-5 conservasse, tali e quali, tutti i disturbi di personalità già presenti nel Dsm-IV, con l'aggiunta di un disturbo di personalità dovuto a cause organiche, ad esempio un tumore cerebrale o una epilessia.
- QUANTI SONO I DISTURBI DI PERSONALITÀ? 'Sono dieci e vengono suddivisi in tre gruppi, o clusters. Gruppo A: paranoide, schizoide, schizotipico (disturbi gravi caratterizzati da un certo grado di eccentricità); Gruppo B: antisociale, borderline, istrionico, narcisistico (gli impulsivi); Gruppo C: evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo (gli ansiosi)', spiega.
- QUAL È LA PRINCIPALE NOVITÀ DEL DSM-5? 'Ha abbassato le soglie della diagnosi- risponde lo psichiatra- una scelta molto criticata. È stata organizzata anche una campagna internazionale per boicottarlo in tutto il mondo, chiamata 'Boycott DSM-5'.
Abbassare le soglie, quindi, vuol dire che 'oggi è più facile di prima fare diagnosi, e che gran parte della popolazione può essere dichiarata affetta da una malattia mentale. Verranno quindi dati molti più farmaci, alcuni dei quali sono di efficacia dubbia e con effetti collaterali negativi. Il Dsm-5, abbassando le soglie della diagnosi, creerà molti 'falsi positivi': malattie diagnosticate che però non sono vere malattie'.
- COSA VUOL DIRE OGGI AVERE UNA MALATTIA MENTALE? 'È un problema enorme capire cosa vuol dire avere una malattia mentale. Dipende molto dalla cultura di appartenenza. Ad esempio- sintetizza il co-direttore della rivista- una volta l'omosessualità era considerata una malattia e tante persone sono state etichettate come malate quando invece erano sanissime, erano solo omosessuali. Qualcuno ha cercato addirittura di curarle con terapie 'riparative''.
- PERCHÉ LE SOGLIE DIAGNOSTICHE SONO STATE ABBASSATE? 'Sarebbe semplicistico dire che ciò è avvenuto solo per una grossa pressione delle case farmaceutiche- rimarca Migone- perché vi era anche il legittimo desiderio di tanti ricercatori di prevenire le malattie studiando le persone con diagnosi sotto soglia per curarle prima. La prevenzione è il sogno di tutta la medicina'.
- PERCHÉ PROVARE A INTRODURRE L'APPROCCIO DIMENSIONALE? 'L'approccio dimensionale è stato in parte introdotto perché l'approccio categoriale, che caratterizzava il Dsm-III e il Dsm-IV, era ritenuto responsabile della poca attendibilità del manuale- continua Migone- però è un po' servito da cavallo di troia che ha permesso un abbassamento delle soglie di molte diagnosi'. - COS'È IL DISTURBO BIPOLARE? 'Il disturbo bipolare è un disturbo dell'umore, che nel Dsm-5 è stato elencato a parte, separato dai disturbi depressivi. Si tratta di una malattia abbastanza grave, anche se ci sono forme attenuate', afferma il medico. 'Consiste in oscillazioni dell'umore (abbastanza lunghe, non di ore o pochi giorni) tra stati di depressione e stati di euforia. Alcuni ricercatori sostengono che i disturbi bipolari esistono anche nei bambini, ma questa cosa è controversa, e di fatto ha favorito la diffusione dei farmaci nei minori producendo anche danni'.
- A CHE ETÀ EMERGE IL DISTURBO BIPOLARE? 'Il disturbo bipolare inizia non prestissimo, in media attorno ai 20-30 anni. Questo perché la personalità si struttura nell'adolescenza- ricorda il medico- e nel bambino, non essendo del tutto formata, può variare moltissimo (la schizofrenia invece inizia spesso durante la pubertà). Se il disturbo bipolare viene diagnosticato nell'infanzia, si rischia di etichettare come malati bambini semplicemente difficili'. Un generale abbassamento delle soglie diagnostiche è pericoloso: 'Come già Allen Frances aveva amaramente fatto notare, il Dsm-IV, di cui aveva guidato la task force, aveva fatto salire alle stelle i dati epidemiologici di diverse malattie. Il disturbo bipolare nell'infanzia e nell'adolescenza era aumentato di quaranta volte, generando una pericolosa impennata di prescrizioni farmacologiche per bambini anche di appena tre anni, cui a volte vengono prescritti farmaci antipsicotici, ritenuti indicati per certe forme bipolari'.
- COSA DIRE SULLA DICOTOMIA VALIDITÀ/ATTENDIBILITÀ? 'Una diagnosi- scrive Migone in un articolo di presentazione del Dsm-5 uscito sul numero 4 del 2013 di Psicoterapia e Scienze Umane- può essere molto attendibile ma non valida (in altre parole, operatori diversi possono essere d'accordo nel dare la stessa diagnosi al medesimo paziente, indipendentemente gli uni dagli altri, anche se è sbagliata). Dal Dsm-III in poi si è innalzata l'attendibilità, che precedentemente era bassissima, ma ciò non ha modificato la validità delle diagnosi, che restano semplici convenzioni. Come ha ammesso anche lo stesso presidente dell'Associazione mondiale di Psichiatria in un recente convegno, il Dsm-III e il Dsm-IV non sono riusciti a formulare quasi nessuna diagnosi valida, ma solo a innalzare un po' l'attendibilità- conclude Migone- prova ne è, ad esempio, la frequente alta comorbilità, cioè i pazienti possono risultare 'positivi' a più diagnosi simultaneamente, e questo è un po' il tallone d'Achille dei Dsm'.
 Notiziario Minori, 16 novembre 2015

venerdì 6 novembre 2015


PSICOLOGA: NON PERMETTERE TUTTO
A FIGLI PRESIDENTE EURODAP AVVISA
"La mancanza di regole e il continuo proteggere i figli da critiche, oggi non permette più ai giovani la possibilità di codificare cosa è giusto e cosa è inappropriato, fino ad essere autodistruttivo. Il ruolo di autorevolezza che i genitori dovrebbero impostare per aiutare i propri figli a costruire la propria identità, sicurezza ed autonomia, infatti, è stato sostituito da un lassismo e protezionismo di fronte a qualsiasi azione loro compiano. Si sta rischiando così di far crescere una generazione completamente autoreferenziale, dove il proprio desiderio è un diritto". Così Paola Vinciguerra, presidente dell'Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), commenta il caso dei 22 ragazzi sospesi da una scuola media di San Francesco al Campo (Torino) per aver filmato i professori durante le lezioni e fatto circolare il video su Whatsapp. "Continuare a permettere qualsiasi cosa ai propri figli- prosegue Vinciguerra- e proteggerli se qualcuno osa contrastarli è il peggior danno che si può fare loro. Si rischia, infatti, di farli crescere con il convincimento che sia loro tutto dovuto e che non c'è alcun bisogno d'impegnarsi per raggiungere una meta, tanto il traguardo spetta loro di diritto e ci saranno i genitori a proteggerli da qualsiasi persona che osi ostacolarli.
Comportarsi così vuol dire non aiutare i propri figli alla realtà. Non meravigliamoci, poi, che già a 12/13 anni sono in cerca di 'sballi' di qualsiasi genere, di sesso e di prostituzione per una borsa o un telefonino".
Secondo la presidente dell'Eurodap, i genitori oggi hanno tolto ai figli "il significato dell'impegno, del traguardo e del premio- sottolinea- hanno tutto ma non hanno nulla. L'assenza educativa dei genitori sta generando nei 'nuovi' giovani problematiche di grande rilievo: il percorso della crescita, a cui i genitori sono preposti, implica essere consapevoli che l'organizzazione cerebrale dei loro figli apprende i comportamenti adeguati e socialmente utili- conclude Vinciguerra- per se stessi e per l'ambiente sociale".
Notiziario Minori,  6 novembre 2015

lunedì 2 novembre 2015


SOGNARE È COME RESPIRARE, BIMBI LO
FANNO DI PIÙ. MONDO: DIMOSTRA STATO
SVILUPPO DELLA LORO PERSONALITÀ
I sogni dei bambini son desideri? "Sognare è qualcosa di più complesso del desiderare, atto che presuppone la conoscenza della cosa anelata. I bambini ci dimostrano di avere una capacità onirica molto prima di conoscere qualcosa. Approfonditi studi neurologici affermano infatti che esiste un'attività celebrale nel sonno dei feti già all'interno dell'utero materno. Sognare è quindi come respirare, e i bambini sognano più degli adulti e ci riflettono lo stato di sviluppo della loro personalità". In un'intervista alla Dire, Riccardo Mondo, psicologo analista junghiano e docente di Psicologia del sogno nella Scuola di psicoterapia dell'età evolutiva dell'Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma, rivela che circa la metà del loro tempo i bambini molto piccoli lo trascorrano sognando.
"L'attività cerebrale onirica è fondamentale per lo sviluppo del sistema nervoso, e con lo sviluppo progressivo delle capacità cognitive, linguistiche, di rappresentazione e di differenziazione tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori, il bambino inizia a manifestare con le immagini oniriche ciò che gli capita dentro. La successiva capacità di raccontare i propri sogni- sottolinea il membro del Centro italiano di psicologia analitica (Cipa)- dipende, in parte, dall'interazione che ha con gli adulti". È molto difficile sapere cosa sogna un bambino, soprattutto durante i primi anni di vita. "È complicato indagare sulla loro qualità- risponde Mondo- all'inizio sognano per lo più sensazioni tattili, movimenti materni, il proprio corpo, il battito cardiaco, i rumori. Sono sogni molto scarni, essenziali. Freud li definiva chiari, brevi e coerenti. Solo successivamente iniziano a fare dei resoconti, intrecciano fantasia e sogno in maniera inconsapevole, ma dalla terza infanzia in poi comincia a manifestarsi il sogno simbolico come negli adulti".
- I BAMBINI FANNO INCUBI? "È facile che il bambino anche piccolo abbia degli incubi- ammette- anche se non sa raccontarli. A volte possono verificarsi dei sogni ricorrenti, dei blocchi che il soggetto non riesce a superare. Gli incubi simboleggiano proprio dei blocchi psicologici o dei disagi di vario tipo". Ma non bisogna preoccuparsene oltre misura, secondo lo psicoterapeuta, "perché la paura e la difficoltà di crescere fa parte di ognuno di noi. Bisognerebbe chiedersi piuttosto come noi adulti dovremmo comportarci di fronte a questi incubi. Condividendoli al momento del risveglio- spiega l'analista- chiedendo ad esempio al bambino cosa 'hai sognato stanotte?', magari abituandolo a disegnarlo e a giocarci su. Questo è un metodo ottimo per esorcizzare gli incubi".
Il classico sogno che angoscia i bambini è "l'apparizione di un mostro a casa propria. Quello che esce dall'armadio o dalla cassapanca dei giochi".
 - COSA SIGNIFICA? "Segnala la paura di fronte al potere degli adulti, o il timore di perdere l'amore delle figure di riferimento. Può simboleggiare anche un'insicurezza personale, come un'incapacità o il mancato (sufficiente) controllo delle proprie forze istintive, non ancora dominate. A volte sulla figura del mostro è proiettata quella di un adulto che gli fa paura. Ciò può indicare un'area conflittuale con il genitore, con cui il piccolo si scontra per motivi di normale evoluzione". Un'altra immagine onirica è il rimanere intrappolati: "Il bambino che resta incastrato in una scatola, in un letto, che cade in un pozzo o che non riesce a correre ci indica quanto si senta minacciato da una situazione scomoda che non riesce ad affrontare".
- LE FIGURE PIÙ RAPPRESENTATE? "Sono gli animali o i personaggi fantastici. I piccoli hanno molta difficoltà a fare distinzione tra il racconto e il racconto che si fa sul sogno. Quando raccontano un sogno partono da un'immagine onirica, che poi arricchiscono con uno stile di narrazione eroica. Quello che importa è il racconto e la sua condivisione, e soprattutto che ci sia il genitore ad ascoltarlo. La presenza e l'ascolto dei genitori rassicura i bambini, confermandogli che i mostri non sono reali e che possono sentirsi sicuri nel loro letto".
Tutti i bambini sanno raccontare i loro sogni? "Il racconto del sogno dipende dall'educazione ricevuta all'interno della struttura familiare. Dallo spazio che la famiglia riserva al gioco, alla fantasia, a ciò che sta dentro al bambino. A volte i genitori provano angoscia se il figlio racconta di essere stato ferito da un mostro".
- DA COSA DIPENDE QUESTA DIFFERENZA? "I bambini sono liberamente a contatto con le loro pulsioni, con le parti competitive, distruttive e sadiche che si manifestano. Pensiamo alle fiabe dei fratelli Grimm, che hanno dei momenti assolutamente horror e che oggi stanno diventando dei canovacci meravigliosi per gli Horror contemporanei. La paura stessa è un momento catartico dell'esperienza. Il sogno è un'esperienza di simulazione esistenziale e ha un valore formativo ed evolutivo nel bambino, che ha bisogno di sperimentare e di controllare la paura. Il vero problema- conclude l'esponente della Cipa- non sono i sogni dei bambini ma la capacità degli adulti di stare con i sogni dei bambini".
Notiziario Minori, 2 novembre 2015